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Sergio
Zavoli risponde a una ammiratrice di Tenco Sul "caso Tenco" continuano
a pervenirci moltissime lettere, le quali esprimono pareri polemici. Ospitiamo
quella che ci invia una ragazza di Roma, che riassume in un certo senso tutte
le altre. E pubblichiamo contemporaneamente la "risposta" del noto
telecronista Sergio Zavoli, chiamato in causa per una sua trasmissione dedicata
al cantante suicida. Avevo seguito Luigi Tenco autore e cantautore.
Lo stimavo molto. Avevo letto con grande interesse il vostro articolo pubblicato
una settimana prima del festival. Mi ero detta: "Se quest'uomo oltre alle
canzoni che scrive e canta, sente e dice queste cose che ha scritto, è
degno della più grande stima. Dato che sono molto scettica per quel che
riguarda la verità delle interviste sui giornali, avevo chiesto di lui
ad una mia amica che lo conosceva e lei aveva confermato le vostre parole. Mi
ero riproposta allora di scrivere al vostro giornale per chiedere il suo indirizzo
e per dirgli che lo reputavo la persona più intelligente di questo mondo.
Ma non ho fatto neanche in tempo a iniziare questa mia lettera di ammirazione
e di simpatia. Quando ho saputo che si era ucciso, non ho saputo crederci, non
ho voluto crederci, mi sono imposta di non pensarci. Ma poi ciò che hanno
detto i giornali, la televisione, tutti, mi ha fatto scattare. "Che cretino,
si è ucciso per una canzone" diceva la gente, un ambizioso, un alcoolizzato,
un drogato, un esaltato, un giovano marcio desideroso di successo e danaro (lui
che lo schifava)". Insomma le cose più cattive, mancava solo che
dicessero che era un pervertito, se solo non lo hanno già detto. E questo
tuonava dall'alto della cattedra di Sergio Zavoli durante il Telegiornale, in
un discorso tanto ingenuo quanto privo della minima pietà e del minimo
buon gusto. Poi si son fatte inchieste sull'effetto che ha prodotto sui giovani
la scomparsa di Luigi Tenco. E hanno scelto certo i migliori: capelloni, commesse
del Piper-Market, quelle che a "Studio Uno" urlavano come oche. E
vuoi sapere come hanno risposto tra una risatina e una mossa di shake: "Doveva
essere matto, proprio matto: la vita è cosa bella". Ma che cosa
sanno questi piccoli sciocchi della vita? La vita è bella, dicono, poi
protestano, ma per che cosa? A proposito di questo, proprio lui, Tenco, aveva
detto: "Ne avrebbero di temi per una protesta seria, ma quelli non li toccano".
Scorrendo i giornali che parlano di lui, giornali che compro tutti non per leggere,
ma per conservare le immagini del suo bel viso e dei suoi begli occhi tristi,
mi son chiesta: "ma non c'è stato proprio nessuno che lo abbia capito?".
Ed era stato così anche quella sera tra quella massa amorfa nella sala
di Sanremo, tra la giuria, tra l'équipe del ripescaggio. Ma se la gente
non lo ha mai capito da vivo perché ora vuol capire perché lo
ha fatto morire, accusandolo di cose che neanche sono vere, offendendo anche
la sua memoria. I giornali non comprendono che gli renderebbero certo più
onore pubblicando magari sue foto senza aggiungere le solite quattro cretinate
di prammatica. Ora mi rivolgo a lei, Signor Direttore, e le chiedo un favore
enorme. Vorrei che tutti sapessero che contrariamente a quanto egli pensava
vi era fra i giovani e fra i giovanissimi chi lo comprendeva ed amava come un
fratello maggiore, per il suo buon senso e la sua triste esperienza. Non firmerò
questa mia protesta contro la speculazione che si sta facendo intorno a Luigi
Tenco e alla sua morte, anche se sarà preso per un atto di vigliaccheria;
non firmerò perché so che questa non è solo la mia voce,
ma è quella di tutto il suo pubblico (e vorrei potesse essere vivo per
sentire quanto grande esso fosse). Che lo amava sempre e vuole solo il silenzio
e il massimo rispetto per la sua memoria. (Una lettrice diciassettenne). Caro Direttore, Copyright © 2004-2005 ilmioregno.it
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un nome e un cognome in fondo alla lettera di questa prudente ragazza avrebbero
aggiunto un vigore morale più forte ad un discorso intelligente. A 17
anni i ragazzi danno aperte prove di sé, si testimoniano, si denunciano,
perciò ho un po' di pena per questa adolescente che conosce già
i vizi degli adulti, che protesta sul rovescio della lavagna. Io, quella sera,
non tuonavo affatto da una cattedra. Facevo il mio mestiere con una identità
precisa, assumendomi la responsabilità piena di ciò che dicevo.
Tuonavo così poco che per esprimere il mio pensiero, e perché
la tesi giungesse più legittima ai telespettatori, presi a prestito da
un poeta la conclusione del servizio: "la morte si sconta vivendo".
Parlai anche di pietà, come era giusto che facessi, perché il
suicidio è un tragico segno della nostra debolezza. E proprio in questo
spirito non accennai di proposito al documento lasciato come estremo messaggio
da Luigi Tenco perché non credo che "Io tu e le rose" sia in
ogni caso un avversario capace di ammazzare chicchessia. Del resto, non essendo
un moralista, mi spettava solo di considerare alcuni fatti di costume nei quali
poteva essere dolorosamente inquadrato l'episodio. La protesta di Tenco non
era una protesta globale contro la società, ma contro un piccolo mondo,
ed io ritengo che occorra con ogni forza impedire che lo scarto fra realtà
sociale e schema mentale distrugga la più semplice qualità dell'uomo,
quella cioè di saper esercitare un giudizio su ciò che è
o non è normale, quotidiano, comune e infinito per tutti.
La ringrazio. Suo Sergio Zavoli