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...Ad un tratto, chissà come e perchè, ti troverai a parlargli di me....

di Franco Settimo f.settimo@tin.it (tratto da "RARO")

 

Luigi Domenico Tenco morì ad una manciata di ore di distanza dal mio diciassettesimo compleanno in circostanze che definire oscure, oggi, sembrerà irriverente o eufemistico, cinico o riduttivo, secondo i punti di vista e l'umore. Una manciata di ore prima avevo ascoltato in TV "Ciao amore ciao" senza esserne rapito (ma raramente il primo ascolto mi emoziona e se succede, di solito tocca poi ricredermi) tant'è vero che ricordo soprattutto l'ingresso in scena di Tenco, teso e senza traccia di buonumore, in abito sgualcito e un tantino abbondante. Il mattino dopo seppi dell'accaduto dal Giornale Radio e dai compagni di scuola con i quali ero solito discutere i fatti del giorno precedente prima che le lezioni avessero inizio.

Tutta la Terza A sapeva chi era Tenco, tuttavia nemmeno i palati più esigenti lo consideravano un "beniamino": oggettivamente, le sue canzoni avevano poco in comune con le festicciole che il sabato si alternavano in casa o con i primi balbettii dei più intraprendenti su una chitarra da diecimila lire. Era, allora più che oggi e non certo per colpa sua, piuttosto distante. Non fa piacere ammettere che, come in molti altri casi, toccò ad un evento irreversibile portare Tenco di peso al centro dell'attenzione per un imprevisto quarto d'ora di celebrità.

Di fronte ad una notizia del genere c'era poca voglia di discutere anche perché mancava un vero interlocutore: la follia dell'episodio qualunque ne fosse stato il motivo, era così tangibile da lasciarci tutti ugualmente disorientati e sprovvisti di argomentazioni. Poco più che accademici (e come poteva essere altrimenti?) si rivelarono i commenti sui brani "Io tu e le rose" e "La rivoluzione", citati nel biglietto lasciato da Tenco: nessuno di noi stravedeva per Gianni Pettenati, figurarsi per Orietta Berti, simbolico e tutto sommato inconsapevole punto di fuga della musica che non ci piaceva. Per di più, la versione ufficiale sancì "suicidio" senza nemmeno invocare il beneficio del dubbio e questo non fece che aumentare ulteriormente la nostra incredulità. I meglio informati ricordarono un precedente, per così dire, "d'autore", occorso quando alcuni anni prima Gino Paoli si sparò due colpi di pistola al torace, ma in quell'occasione il tentato suicidio rimase fortunatamente tale. C'era poi tutta una serie di altre differenze tra i due episodi che andavano dal presunto movente (nel caso di Paoli venne evocato il malessere esistenziale, accentuato da questioni affettive o di eccesso di protagonismo) alla cassa di risonanza dell'accaduto. Non sarebbe stato corretto confrontare l'afosa pigrizia estiva di un luglio avaro e assetato di fatti di cronaca con l'enorme potenziale diffusivo del Festival di Sanremo.

A queste considerazioni il senno di poi porta ad aggiungere che "morire di musica" non faceva ancora tendenza e che, comunque, l'espressione sarebbe stata applicata di lì a poco ad un contesto di solito autodistruttivo che non era certo attribuibile a Luigi Tenco, tanto meno nel periodo di fecondo e indiscutibile rilancio artistico che gli si stava aprendo.

Quasi subito "Ciao amore ciao", balzò malinconicamente verso le posizioni alte dell'hit parade: un fatto inusuale, anche se ovviamente possibile sulla carta, per le canzoni "colpevoli" di essere state scartate nel corso delle prime due serate. L'impatto emozionale era stato invece così intenso da ripercuotersi immediatamente sulle vendite non solo in spregio alla consuetudine ma anche in misura non proporzionale al valore artistico del brano.

Questa potenzialità commerciale era ben nota, oltre che ai discografici, agli organizzatori del Festival che si prodigarono affinché la manifestazione non venisse interrotta e il naturale corso dell'oblio dei fatti di cronaca, per quanto clamorosi ed inediti, venisse silenziosamente accelerato.

E' di dominio pubblico la notizia che sul corpo dell'artista non fu effettuata una regolare autopsia (decisione assolutamente singolare per un caso di morte violenta) ma solo una ricognizione frettolosa; si sa anche che a Dalida, partner di Tenco e quasi certamente preziosa testimone delle ultime ore, fu consentito di ritornare in Francia a poche ore dal fatto dopo un interrogatorio il cui esito non è noto. Queste ed altre "stranezze" affollano da anni la memoria di Valentino Tenco, sanguigno e tormentato fratello di Luigi, che da allora si batte perché si provveda prima o poi a rimuovere le troppe ombre sull'accaduto. La stessa RAI, che pur possiede la registrazione dell'ultima apparizione pubblica di Tenco, non l'ha mai ritrasmessa in occasione di incontri, dibattiti e simili sull'argomento anche se vi partecipavano accreditati testimoni oculari.

Tutto questo è noto anche ad Amilcare Rambaldi, vitale presidente del Club Tenco che vent'anni fa, non essendo in grado di contribuire con elementi di chiarezza sul fatto, ebbe il coraggio di sentirsi moralmente coinvolto avviando un'iniziativa straordinariamente longeva, nel contesto indifferente e a volte ostile dei media (e inizialmente anche di Valentino Tenco che forse sospettava l'ennesima strumentalizzazione).

Grazie alla sua caparbietà, la passerella del teatro Ariston di Sanremo è diventata, in occasione della Rassegna della Canzone d'Autore, una autunnale opportunità per molti (piccoli, grandi o mitici non è poi così importante) dei suoi esponenti di qualsiasi nazionalità. Basti dire che quasi tutti i maggiori cantautori italiani ci sono passati e che, tra gli stranieri, c'è addirittura chi, come Tom Waits, in Italia non si è esibito altrove.

Questa però è storia troppo recente, mentre mi preme tornare ad allora per raccontare un ultimo episodio che, forse perché privatamente mio, ha la pretesa di aggiungere qualche tratto inedito, non certo per contribuire alla soluzione del giallo ma solo per riflettere sulla globalità del messaggio di Tenco.

Non era passato molto tempo, forse meno di due anni quando, sempre a scuola ma stavolta durante l'ora di religione, il prete aprì, non senza un'occhiata di sottile complicità, un testo fresco di stampa e dosando abilmente le pause iniziò a leggere quello che ci aveva promesso essere un salmo dell'Antico Testamento: "La nave ha già lasciato il porto e dalla riva sembra un punto lontano...qualcuno anche questa sera torna deluso a casa piano piano...". A fine pagina alzò gli occhi chiedendo: "Avete riconosciuto il salmista?"

Fui il solo, più che il primo, a rispondere, ma confesso che ebbi un brivido e mi si allargò genuinamente il cuore a sapere Tenco su un testo di religione prima che su un'improbabile antologia del novecento.

Per un attimo mi parvero così lontani quei tempi in cui saltimbanchi, musici e teatranti in genere (per non parlare dei suicidi) venivano seppelliti in terra sconsacrata....