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NON ANDRO' A SANREMO PERCHE' NE USCIREI DISTRUTTO
Ricostruiamo la breve vita irrequieta di Luigi Tenco attraverso le sue stesse parole e le confidenze raccolte tra i suoi amici Corrispondenza di ALESSANDRO BERLENDIS
Sanremo, febbraio
L'ultimo atto del dramma si è svolto tra i cipressi del minuscolo camposanto di Ricaldone. Ora quassù dorme Luigi Tenco, il giovane cantautore che ha messo
in lutto il mondo della musica leggera immolandosi sull'altare di una morbosa insoddisfazione, tanto più incomprensibile in un ambiente ritenuto frivolo, superficiale, inconsistente. Domenica mattina, 29 gennaio, una piccola folla ha accompagnato
la bara dello sfortunato ragazzo coperta di fiori; ma era una folla anonima; nessuna celebrità, nessun cantante. C'era il fratello di Luigi, ancora incredulo, sbigottito; c'erano pochi parenti, i compagni di scuola delle elementari che non lo ricordavano quasi più. Ricaldone, un piccolo centro agricolo del Monferrato
è il paese in cui è sepolto da ventinove anni il padre di Luigi Tenco, ucciso da un bue infuriato. Luigi nacque in quei pressi, a Cassine, pochi mesi dopo. Lassù è tornato per riposare definitivamente.
Intanto si spegnevano i riflettori del Festival di Sanremo. I cantanti, vincitori o sconfitti, si accingevano a riprendere la loro attività; incisione di dischi, serate, autografi. Nessuno aveva avuto il tempo di portare un fiore a Luigi Tenco, neanche quelli che la notte di giovedì 26 gennaio sembravano affranti per la tragedia che era scoppiata
a pochi passi dal palcoscenico illuminato e chiassoso della sagra della canzonetta.
Una notte folle
Quella notte tutti si erano sentiti travolti da una ventata di follia: erano le due e i cantanti, dopo la conclusione della prima serata del Festival, si erano sparpagliati. Un folto gruppo era andato a cena in un locale caratteristico, e c'era chi brindava
al successo della propria canzone, chi fingeva indifferenza per essere stato eliminato. Luigi Tenco, invece, non era riuscito a nascondere la sua delusione: "Ciao amore ciao", la sua ultima composizione che il pubblico e le giurie avevano clamorosamente bocciato,
significava molto per lui, molto più di quei pochi versi rivestiti di note.
Crollate le sue speranze, fattosi il vuoto intorno a lui e dentro di lui, Luigi Tenco si ritirò nella sua camera d'albergo, cupo e freddo, tirò fuori la rivoltella che aveva acquistato due mesi prima,
pensò perfino a mettere in vista il porto d'armi, e si sparò un solo colpo, inesorabile, in testa. Nessuno sentì nulla, ma poco dopo, quando gli altri rientrarono, qualcuno si ricordò di Luigi, del suo sguardo allucinato: era Dalida, la cantante italofrancese che aveva eseguito la stessa canzone
e che nei pochi giorni delle prove gli era diventata amica. Dalida, dopo l'eliminazione, aveva deciso di ripartire subito per Parigi ma non voleva andarsene senza salutare il suo sfortunato collega. Telefonò nella camera di Tenco, nessuno rispose. Allora Dalida, sconvolta da un presentimento,
andò a vedere. La porta non era chiusa a chiave, Luigi giaceva sul letto, tutto insanguinato. Un istante dopo, la cantante fuggiva urlando dalla macabra stanza, scatenando una indescrivibile
confusione nell'intero albergo. Accanto al letto fu trovato un biglietto che spiegava tutto e non spiegava nulla:
"Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt'altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda "Io tu e le rose" in finale e una commissione che seleziona "La rivoluzione". Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao, Luigi."
Un solo commento era possibile: che un simile gesto di rivolta era assurdo, sproporzionato.
Il pianto degli amici
Mike Bongiorno, tra i primi ad essere raggiunto dalla notizia, scosse il capo e pronunciò un frase: "Roba da matti, ragazzi", poi raccontò che durante la serata Luigi Tenco gli era apparso strano. "Sembrava assente, in preda ad un malessere. Era pallido e malfermo sulle gambe. Non voleva cantare. lo incoraggiai e quando fu il suo turno fui costretto a spingerlo fuori sul palcoscenico. Prima di uscire mi guardò con occhio spento e borbottò: "Va bene, va bene, adesso vado a cantare e poi chiudo". Io credetti che intendesse chiudere con il folksong, anzi glielo dissi, ma lui scosse la testa e replicò: "No, no, chiudo con tutto". Non potevo certo immaginare che intendesse quello che ha fatto".
Fino all'alba, la hall del grande albergo dove Tenco aveva concluso la sua vita terrena fu affollata di cantanti, di autori, di giornalisti. Wilma Goich singhiozzava sulla spalla del marito, Edoardo Vianello, ripetendo fino all'ossesione "Non canterò mai più". lucio Dalla piangeva come un bambino e diceva continuamente con voce monotona che Luigi era il suo più grande amico. Bruno Pallesi, che era entrato nella camera del cantautore dopo l'allarme di Dalida, raccontava con voce commossa come lo aveva trovato.
Gianni Boncompagni, l'animatore della trasmissione radiofonica "Bandiera gialla", sembrava in preda ad un collasso, e con il volto rigato di lacrime farfugliava parole incomprensibili. Gianni Ravera, il patron del Festival di Sanremo, era impietrito, sembrava incapace di rendersi conto di quanto era accaduto e continuava a mormorare: "E' impossibile, è un brutto scherzo".
Un gruppo di giornalisti, capeggiati da Piero Vivarelli, sostenevano che bisognava sospendere il Festival in segno di lutto. Della stessa opinione erano tutti i cantanti presenti. Ugo Zatterin era addirittura convinto che la televisione avrebbe ritirato le telecamere e che ci sarebbero state delle interpellanze in Parlamento. Ezio Radaelli, il creatore del "Cantagiro", a Sanremo in veste di osservatore per conto di un quotidiano
sosteneva che bisognava sospendere il Festival almeno per una serata.Intanto qualcuno aveva telefonato a Recco per avvisare della tragedia la madre e il fratello di Tenco. Per fortuna la telefonata non fu raccolta dalla madre, perché l'informatore, con la brutalità dettata dall'eccitazione del momento, disse: "Venite subito a Sanremo: Luigi si è sparato".
All'altro capo del filo c'era il fratello, Tino. Alla madre fu detto che a Luigi era capitato un incidente d'auto. All'alba sopravvenne la stanchezza; la hall rimase deserta e quando Tino Tenco arrivò, non c'era più nessuno ad aspettarlo.
Poi, nella tarda mattinata di venerdì, tutti si trovarono d'accordo che il Festival doveva proseguire, lo esigeva, dissero, la "spietata legge dello spettacolo". Ci fu chi aggiunse che proseguire il Festival era addirittura un atto di omaggio al morto. Fatto è che tutti i cantanti giunsero puntuali alle prove, distribuirono la solita razione di autografi, posarono per i fotografi. Intanto, su un furgone, Luigi Tenco veniva trasportato a Recco, accompagnato soltanto dal fratello.
La sua prima canzone
Ma chi era dunque questo ragazzo che in un istante ha alterato tutte le dimensioni tradizionali del suo ambiente? Chiuso, introverso, timidissimo e sensibile, Luigi Tenco si era trasferito giovanissimo a Genova, con la madre ed il fratello. Suo padre Luigi, non lo aveva mai conosciuto. Conseguita la maturità scientifica, si era iscritto alla facoltà di ingegneria dell'Università di Genova. Tra i suoi amici vi erano Umberto Bindi, Gino Paoli, Bruno Lauzi e i fratelli Giampiero e Gianfranco Reverberi. Fu da loro che attinse la passione per la musica. Poi Gino Paoli, cinque anni fa, lo accompagnò a Milano per sottoporre ai suoi amici di una casa discografica la prima canzone, "Quando" di Luigi Tenco.
Piano piano il nome del nuovo cantautore divenne noto. Una dopo l'altra vennero: "No, non è vero", "Angela", "Mi sono innamorato di te", "Il mio sogno","Ti ricorderai", "io lo so già", "I miei sogni perduti", "Lontano, lontano". Anche il cinema gli aperse le porte e Luigi interpretò La cuccagna di Salce. Ma il vero, il grande successo non arrise mai a Luigi Tenco. Ad essere giusti, bisogna anche dire che lui lo sfuggiva, non concedeva nulla al pubblico, non accettava consigli, era anticonformista per natura, si riteneva un incompreso. Lo dimostra anche il suo continuo
peregrinare da una casa discografica all'altra; se ne andava non appena i direttori artistici cercavano di convincerlo a comporre canzonette commerciali. Non fu mai soddisfatto, di niente. Anche con chi gli dimostrava un'amicizia sincera si comportava a volte in modo scostante. Eppure, tutti coloro che lo conobbero bene sono ora concordi nel definirlo un ragazzo d'oro, generoso, leale. Era soltanto troppo solo, dicono.
Anche la sua vita sentimentale non fu mai un successo. ma neppure in questo campo Luigi Tenco faceva molto per cercare il successo. Si sa per certo che cercò di corteggiare l'attrice Stefania Sandrelli, quando tutti sostenevano che tra lei e Gino Paoli ci fosse del tenero. C'è chi dice che in quella occasione si giocò l'amicizia di Gino Paoli.
Alcuni mesi or sono, Tenco convocò a Milano una conferenza stampa per comunicare ai giornalisti che era venuto il momento di pensare seriamente alla canzone italiana; accusò i compositori italiani di mancanza di originalità, disse che era un errore ricalcare le orme di gente come Dylan e Donovan che con gli italiani nulla avevano da spartire. Concluse che avrebbe capeggiato la nuova linea della canzone italiana. Fu una conferenza stampa confusa, dove pochi capirono quello che Luigi Tenco aveva voluto dire. Poi, invece, contro ogni previsione, il "ribelle" aveva accettato di partecipare al Festival di sanremo ed era giunto nella città dei fiori pieno di sicurezza.
Fu subito deluso: durante le prove raccolse pochi applausi, i giornalisti scrissero che la sua canzone non era un granché. uno giunse a dirgli che cantava male. Cominciò così ad incupirsi, ad entrare in uno stato di agitazione che a tutti sembrò esagerato. La sera di giovedì (se ne saranno certamente accorti anche i telespettatori), cantò come un automa, decisamente al disotto delle sue possibilità. Luigi Tenco aveva già deciso di "chiudere".
Abbiamo parlato con molti suoi amici, abbiamo raccolto molte impressioni. Giampiero e Gianfranco Reverberi hanno detto: "L'abbiamo ucciso tutti noi. Era un ragazzo di eccezionale intelligenza e di rara sensibilità. Si è visto incompreso, respinto. L'esclusione dal festival non è stata la causa determinante, è stata l'ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso".
"Venerdì sarò a casa"
Umberto Bindi era, forse, il più amareggiato di tutti: "Un giorno mi disse: 'Sono un disgraziato, se avessi continuato a studiare ora sarei un bravo ingegnere'. Non credo che si sia ucciso perché la sua canzone non è entrata in finale. Credo che lo abbia fatto perché credeva di essere un fallito".
Bruno Lauzi, suo amico d'infanzia, suo compagno di studi, ha detto: "Non riesco a capire come mai si sia lasciato convincere ad andare a Sanremo. Con il suo carattere non doveva. già una volta mi aveva detto: 'Non andrò mai a Sanremo, se ci andassi ne uscirei distrutto'. Si è ucciso perché non sopportava l'idea di non essere capito, o forse perché si era accorto che non aveva niente da dire. Escludo che sia stato spinto a farlo per una delusione d'amore. Delle donne aveva un'opinione del tutto particolare: non le teneva in gran considerazione e quando le vedeva disposte a cadere ai suoi piedi rideva di loro".
Per suo fratello, Luigi era un uomo che amava la vita: "Andava spesso dai medici e spesso entrava in clinica per sottoporsi a visite e ad esami, al solo scopo d'avere la sicurezza di essere sano. Dicono che fosse un introverso, che fosse pieno di complessi. Mi sembra eccessivo: forse era un po' orso, ma quando era qui con noi, sembrava felice e giocava in giardino con i miei due figli, i suoi nipotini.
Giocava come un bambino. Sarebbe bastato che quella notte avesse pensato per un solo istante ai suoi nipotini, o a me, o a sua madre, e non avrebbe fatto quello che ha fatto. Povero Luigi. Ci aveva detto: 'Del Festival non m'importa niente. Vedrete che la mia canzone non passa; e sarà meglio così perché almeno venerdì sarò già a casa'. Così ci aveva detto mercoledì. Lui odiava la confusione, aveva paura della gente. La unica spiegazione, per me, è che per superare il timore e l'ansia, abbia preso qualcosa, forse un eccitante, e che questo abbia provocato il disastro".
Ma, forse, la spiegazione più semplice dell'accaduto l'ha data lo stesso Luigi Tenco proprio con le parole della sua canzone "Ciao amore, ciao": "Guardare ogni giorno se piove o c'è il sole - per saper se domani si vive o si muore - e un bel giorno dire basta e andare via".
Alessandro Berlendis
articolo
tratto da "GENTE" del 08/02/1967
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