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«Caro Tenco così non va»
«Per me non funziona». È il tardo
autunno del 1966 e Luigi Tenco ha appena inciso la versione definitiva di
"Ciao amore, ciao", la canzone che avrebbe dovuto consacrarlo,
attraverso il Festival di Sanremo, cantautore di successo popolare. E che invece
è solo l'inizio di una tragedia inaudita, che si consumerà con il suicidio (?)
di Luigi nella notte di giovedì 27 gennaio 1967.
«Per me non funziona», dice Ciotti a Tenco nel bar della RCA, a Roma,
chilometro 13 della Tiburtina, testimone il sottoscritto, che, insieme a
pochissimi altri, tra cui Ciotti, aveva il privilegio di entrare nel mondo
musicale di Luigi.
Tenco, 28 anni, rimane perplesso. Di Ciotti, 38, ex musicista ora radiocronista
sportivo e finissimo critico musicale, si fida. Sa che Sandro è competente come
pochi e, soprattutto, non le manda certo a dire. Tantomeno è uno che cerca di
addolcire il giudizio solo perché deve darlo su un'opera di un amico.
Luigi si accalora, cerca di spiegare, di convincere. Forse per primo se stesso.
Testone com'è, non ha dubbi, almeno espliciti, sulla validità del brano. Ma
probabilmente si sta pentendo di avere accettato, per una volta, un compromesso:
andare a Sanremo in coppia con Dalida, alla ricerca di una sfida impossibile.
Inoltre, ormai c'è poco da fare. La canzone è pronta, è nata, è su vinile,
al termine di una gestazione travagliata. "Ciao amore, ciao",
concepita come canzone di protesta, antimilitarista, con il titolo "Li vidi
tornare" (Eran trecento, eran giovani e forti... recitava
l'attacco), si era trasformata per strada in un brano sull'emigrazione, sulla
vergogna della sconfitta (... e non avere un soldo, nemmeno per tornare).
Un tema ostico per il Festival di allora, reso ancora meno appetibile dalla
struttura melodico-armonica e da un'orchestrazione estremamente complesse.
«Luigi, credimi, il vero problema non è poi questo», insiste Ciotti con ferma
dolcezza: «È che si sente che ci hai lavorato troppo sopra, privilegiando il
cervello rispetto al cuore. Ripeto: per me, a Sanremo non funzionerà».
Lapidario.
Sono l'esperienza, la passione, la sincerità, la conoscenza anche dei più
microscopici meccanismi infernali di Sanremo, a portarlo a quella previsione così
secca. Certo: in quel pomeriggio del tardo autunno del '66, Ciotti a tutto pensa
meno che all'epilogo mortale. Ché, altrimenti, chissà come, avrebbe comunque
impedito al suo amico Luigi di salire su quel palcoscenico maledetto.
NINO PIRITO
19/07/2003
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