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Quando Tenco finì in Parlamento

di Chiara Di Pasquale

 

27 gennaio 1967, la morte di Luigi Tenco. Suicida per amore? Vittima dell'industria discografica? Ha riaperto la ferita, ieri sera su Radio2 Rai, la puntata speciale di "Riveduti & corretti" di Mimmo Mollica. 

Mollica ha ripescato due interessanti testimonianze: il commento di Sandro Ciotti, scomparso solo la settimana scorsa (Ciotti, buon amico del ventinovenne Tenco, fu il primo ha mettere in dubbio la versione "ufficiale" del suicidio per la bocciatura al Festival di Sanremo della sua "Ciao amore") e un articolo scritto sul "Tempo" da Salvatore Quasimodo, dal titolo "Luigi Tenco ha voluto colpire a sangue il sonno mentale dell'italiano medio" in cui il Premio Nobel sosteneva: "I divi sono esseri viventi e non prodotti da lanciare sul mercato e da gettare via quando i gusti dei consumatori reclamano una nuova etichetta. Così avviene nel mondo dello spettacolo e soprattutto oggi in quello dell'industria discografica che va forte, a giri di miliardi...". Ma Mollica ha ricordato anche quando (e come) il "caso Tenco" approdò in Parlamento: avvenne nell'aprile del '67, su intervento di due deputati. L'onorevole Giovanni D'Antonio rivolse un'interrogazione ai Ministri dell'Interno e dello Spettacolo, avanzando due richieste, di cui una recitava: "L'interrogante si permette di suggerire ai ministri competenti l'abolizione del Festival di Sanremo o, perlomeno, di fare in modo che, in considerazione del fatto che solamente le case discografiche sono interessate alla manifestazione per evidenti scopi reclamistici, debbano esse sopportare le spese della trasmissione televisiva, allo stesso modo come avviene per la reclame a "Carosello". L'interrogazione ha ricordato Mollica non ebbe risposta.

 

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