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tratto da "la Stampa" 22/3/2003


LA NOTTE DEL 27 GENNAIO 1967
Uno sparo e tanti misteri al Savoy
Quella sera Luigi aveva esagerato con alcol e pasticche

GENOVA SUL comodino, accanto al letto, un biglietto con grafia incerta: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente 5 anni della mia vita. Faccio questo non perchè sia stanco della vita (tutt´altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda in finale Io tu e le rose e una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi». Alcuni testimoni dicono che è scritto su carta intestata dell´albergo Savoy, per la polizia su un normale foglio bianco. E´ uno dei misteri che circondano la morte di uno dei più poetici cantautori italiani, bello e tenebroso, ingegnere mancato e appassionato di matematica al punto di riempire di operazioni e numeri anche gli angoli dei giornali. Luigi Tenco, che proponeva «Ciao amore» in coppia con la stella italo-francese Dalida, mentre Lucio Dalla cantava ancora canzonette. Luigi Tenco che seguiva i consigli antipanico di Jannacci e affrontava il palcoscenico grazie ad alcool e Pronox. La stessa miscela di cui fece il pieno Gino Paoli prima del misterioso colpo di pistola che gli lasciò una pallottola vicino al cuore. Una generazione di cantautori e musicisti genovesi, con il maestro Giampiero Reverberi, con lo schivo De Andrè, con Michele allora popolarissimo cantante e, più defilato, Bindi, destinato all´ostracismo per la sua diversità. De Andrè non andò ai funerali di Tenco, ma tempo dopo scrisse per lui «Amico fragile». Michele cacciò i fans che gli chiedevano autografi fra le tombe. E quasi tutti, Claudio Villa in testa, quella notte del 27 gennaio 1967 volevano che il festival si fermasse. «Ci fu uno scontro tra Ugo Zatterin, presidente della Commissione selezionatrice, spalleggiato dal patron del Festival, e Lello Bersani con la sua troupe: Zatterin voleva che lo spettacolo andasse avanti, Bersani no», racconta oggi Arrigo Molinari, questore in pensione, allora commissario. E´ l´uomo che, con le sue rivelazioni, ha fatto esplodere negli anni passati «il caso Tenco». Sua la decisione di far riportare il cadavere in camera per venire incontro alle esigenze di «Bersani che voleva fare un reportage serio», scatenando poi la ridda di dubbi su un suicidio improbabile per posizione del corpo e dell´arma. «Ho fatto riportare il corpo per sventare i tentativi di chi voleva nascondere la notizia - afferma l´ex investigatore -. Telefonai il testo del biglietto al giornalista dell´Ansa Marco Benedetto e alle 2,50 il messaggio venne diramato». Ma che cosa accadde quella notte nel seminterrato del Savoy, stanza 219? Tante ipotesi presero corpo dalle voci sfuggite a un ambiente sotto censura ipocrita, in un´epoca in cui la trasgressione non funzionava come operazione di marketing. Si parlò di una lite con Dalida e di una sceneggiata suicida andata oltre le intenzioni nell´inconsapevolezza del colpo rimasto in canna: il caricatore, infatti, non era inserito nell´arma e la Walter PPK è una pistola semiautomatica senza sicura. L´arma era di Tenco, che aveva ricevuto minacce di morte. Ma chi voleva il cantautore schiacciato dalla personalità della star verrà poi smentito dalla rivelazione del carteggio con un´altra donna, Valeria, rimasta sconosciuta. Il Festival di Sanremo nel `67 era presentato da Mike Bongiorno. Dopo le prove, non brillanti, del 26 pomeriggio Tenco salda due debiti, uno con il maestro Reverberi, l´altro, di 5 mila lire, con il giornalista Sandro Ciotti. Racconterà Dalida, morta suicida 20 anni dopo, che Luigi le telefonò alle 19 per dirle: «A quella roulette andiamoci insieme». Luigi consuma una gran quantità di tranquillanti ed esagera con il whisky. Mike Bongiorno si accorge che qualcosa non va e spinge in scena Tenco, che canta con la voce impastata. «Questa sai è l´ultima volta», dice dopo l´esecuzione di «Ciao amore» a Mike. Che non capisce e gli chiede: «Che canti una canzone folk?». Tenco viene eliminato, 38 voti su 900. E´ mezzanotte e mezzo. Un gruppo di cantanti e discografici va a cena da «U Nostromu». Tenco li accompagna in auto, ma poi sgomma e torna indietro. Dalida rientra in albergo e raggiunge la camera di Luigi: sono le 2,10. La chiave è infilata all´esterno. La luce è accesa, Tenco è morto. Riverso a terra, come testimonia qualcuno; no, appoggiato alla sponda del letto, come ricorda qualcun altro. Dalida si getta sul corpo esanime. Urla: «Assassini, assassini». Arrivano Lucio Dalla e Sandro Ciotti. Dalida viene portata via di peso, coperta di sangue. E´ la bagarre. Finalmente qualcuno chiama la polizia e arriva il commissario Molinari: sono le 2 e tre quarti. Il funzionario avverte l´Ansa e la scientifica. Non vengono rilevate impronte, non si fa il guanto di paraffina, non ci sarà autopsia. Quando Molinari invita i giornalisti nella stanza, scopre che un maresciallo ha già fatto portar via il corpo. «Riportalo indietro», gli ordina. E il cadavere passa sotto gli occhi di Dalida, che sviene.

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