Da 40 anni percorre in lungo
e in largo il mondo artistico e culturale europeo, segnando con
la forza del mito l'evolversi della musica d'autore. Luigi Tenco
continua a proporsi come punto di riferimento ineguagliabile e
inimitabile. Come la sua voce, i suoi accordi musicali
rivoluzionari, la poesia che diventa quotidianità.
Per capire, basta salire nella Torre millenaria di Tenco, lassù,
sulla collina di Recco. Tra i ricordi di una stagione troppo
breve dedicata all'arte: il sax, le chitarre, i libri, i testi,
gli lp. Le fotografie intime dei suoi momenti più sereni. Brani
inediti, canzoni scritte alla metà degli anni 60 e
incredibilmente trasformate in successi da hit parade da altri
colleghi dieci e più anni dopo (diavolo d'un Luigi, generoso e
distratto...). Il quaderno con i temi delle
elementari ultimate a Ricaldone. Ce n ’è uno, struggente,del 15 ottobre 1946:
«La persona che amo di più è la mia mamma...Quando dovevo venir via dal
Piemonte mi rincresceva perchè dovevo lasciarla...». A Genova prima e a Recco
poi, Tenco approda con la mamma Teresa ed il fratello Valentino all ’inizio degli anni
Cinquanta, Viene da un ’altra isola, quella sulle colline di
Ricaldone, il borgo contadino dell ’Acquese che galleggia tra filari
infiniti. Il vino, la fatica e il dolore nelle cantine e nelle
vigne, il pragmatismo dei contadini che sanno ma non dicono. La torre di
Recco,Tenco l’adocchia scorrazzando in Jaguar. Grazie a una conoscenza casuale,
riesce ad averla nel 1963, l ’anno dopo aver girato come protagonista “La
cuccagna ”,regista Luciano Salce. Si insedia con famiglia al
seguito. Qui Luigi è un re. Ha già scritto testi per Gaber, ha lavorato con
Celentano, Jannacci Reverberi. Ha giocato con Paoli e
Lauzi. Ha lanciato l ’amico Fabrizio De Andrè. Sforna piccoli
capolavori a ritmi ossessivi.
Lassù, nella Torre, tutto è rimasto come allora, come quel giorno del gennaio 1967
quando Luigi uscì di casa per raggiungere Sanremo. I nipotini Giuseppe Patrizia
giocavano allegri sul grande terrazzo che si affaccia sul mare.
La cognata Graziella gli regalò un berrettino, per ripararsi dal
vento. Il fratello Tino lo abbracciò, un po ’ incupito. In una nicchia ai piedi della
scaletta stretta, di ardesia nera e lucida, che conduce al
terrazzo, c ’è il sax di Luigi. Color argento,chiuso nella costodia di cuoio.
Ci sono la sua chitarra .Più su, nello studio, c ’ è sempre
l’enorme contenitore pieno zeppo di nastri di bobine incisi dall
’artista nella saletta di registrazione che, artigianalmente ma con grande
fantasia, lo stesso Tenco si era costruito al pianterreno della Torre.
Nella bacheca i fucili. Negli scaffali i libri. Nell ’armadio il suo
microfono, le cineprese per cui andava pazzo. Gli spartiti.
I primi dischi. Le tracce di Gershwin e Jelly Roll Morton,
Charlie Parker Lee Konitz, Paul Desmond e Nat King Cole . Di Bob
Dylan. In uno scatolone centinaia di ritagli di giornali argentini sudamericani
che raccontano del viaggio trionfale di
Tenco, accompagnato da Gianfranco Reverberi, a Buenos Aires.
Accolto come un
divo: una sua canzone,“Ho capito che tiamo ”,introduceva la prima di tutte le te-
lenovele. Giunti alla puntata numero duemila, la televisione argentina volle Tenco
negli studi. Luigi era militare, le autorità non gli avevano concesso il passaporto
l ’accordo tassativo era che non avrebbe potuto uscire dall
’aeroporto. Insomma,
una toccata e fuga. Ma migliaia di persone lo strapparono letteralmente dalla sala
arrivi per portarlo in trionfo nelle vie della capitale. Ricorda
Reverberi,con il magone: «Ancor oggi sono contento, quella fu la prima e l ’unica volta in cui Luigi
assaporò davvero che cos ’è il successo ».
Giorgio Carozzi
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