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Luigi Tenco, quel giorno lontano lontano 

- tratto da "il gazzettino" - 

Giovedì, 24 Gennaio 2002

Trentacinque anni fa si uccideva durante il Festival di Sanremo, al quale partecipava in coppia con Dalida
Luigi Tenco, quel giorno lontano lontano
Molte le illazioni sulla sua morte, dai dissapori sentimentali all’esclusione del brano presentato
di GIANCARLO GRANZIERO

Quel pomeriggio del 26 gennaio del 1967, a Sanremo c'erano le prove delle canzoni e dei cantanti che alla sera si sarebbero misurati coi voti del pubblico per accedere all'ambita finale. Con altri colleghi dell'organizzazione della Rca (allora la major per antonomasia) e di cui ero dipendente, dovevamo provvedere agli appuntamenti, con la stampa, col regista dello spettacolo tv e altro, dei nostri "protetti" cioè i protagonisti della kermesse canora. Sembrava un giorno come un altro. Ma nell'aria qualcosa mi diceva che forse non lo era: la presenza al festival di Luigi Tenco, cantautore di grande rilevanza ma certamente non a suo agio con una competizione commerciale com'era Sanremo, e con tutti i suoi intrallazzi tra le quinte e negli alberghi che ospitavano i discografici e il loro entourage. Ah, scusate se scrivo in prima persona ma quella volta io c'ero. Per la prima volta, ma c'ero. E ho vissuto tre giorni che non si possono dimenticare, nel bene e nel male. Ennio Melis, il "rosso" come lo chiamavamo per le sue simpatie di sinistra e direttore generale della Rca, ci aveva avvisato: «Solita routine, ma tenete d'occhio Luigi (Tenco n.d.r.). Non si sa mai cosa può fare». L'avvertimento non era campato in aria. Tenco, umorale, carattere instabile, ombroso con chi non gli andava a genio e anche con gli amici, era stato letteralmente catapultato al Festival dalla Casa discografica che gli aveva, in più, affibbiato una storia d'amore con Dalida, la famosa vedette francese che avrebbe cantato in coppia con lui il brano "Ciao amore ciao". La canzone era decisamente bruttina, proprio da Sanremo, e Tenco ci credeva poco come lo disturbava l'accanimento dei giornali sulla sua storia d'amore con Dalida. Aggiungete l'emozione di partecipare al Festival. Il tutto, faceva di Tenco una mina vagante nell'ambiente, in superficie tutto sorrisi e abbracci e, sotto sotto, coltelli.

Torniamo a quel pomeriggio del 26 gennaio. Finite le prove, transitate senza problemi come al solito (qualcuno vuole interpretare la canzone intera, qualche altro si limita ad accennarla badando più al suono dell'orchestra), i ranghi si sciolgono. C'è un po' di tempo per il relax. Tenco se ne va. Lo rivedrò all'inizio della serata. È un momento importante per lui anche se non proprio adatto a un cantautore. La canzone che ha portato al Festival non è certo delle migliori, ma se vince (Dalida costituisce un grosso richiamo internazionale) diventerà famoso. E di vincere, l'idea Tenco ce l'aveva, come confessò a un giornalista poche ore prima. È il momento di andare in scena: Luigi è scorbutico più del solito, quasi assente, soffocato dallo smoking, probabilmente in stato pre-confusionale. Lo si vede chiaramente. Mike Bongionro, il presentatore del Festival, lo spinge a uscire. Tenco canta in maniera atroce, per chi è abituato a sentirlo. Ripete il brano Dalida: lei ci mette più calore (non per niente è di origine calabrese) ma è gelida, non può fare di più. La canzone non piace. Tenco lo sente, lo avverte dai fiacchi applausi, dall'aria che tira. Poco tempo dopo arrivano i risultati delle votazioni del pubblico esterno: "Ciao amore ciao" è ultima nelle preferenze. In compenso sono state votate "Io, tu e le rose" di Orietta Berti e "La rivoluzione" di Gianni Pettenati. Nella scarabocchiata lettera d'addio prima del suicidio, Luigi Tenco sembra prendersela soprattutto con queste due canzoni e con il pubblico che non capisce. Ma non è certamente solo questo il motivo del suicidio. So, da amici che dopo la serata lo hanno seguito, che si è scolato almeno quattro grappe e ha preso varie pastiglie. La Rca l'aveva invitato, con Dalida, al ristorante "U Nostromu" per "festeggiare la sconfitta", frase di dubbio gusto se qualcuno gliel'ha riferita. Sono le quattro di mattina: una telefonata mi sveglia: «Tenco si è ammazzato, riunione alle 8». È in ballo il proseguimento della manifestazione, la Rai e i discografici cosa faranno? La Rca non ha dubbi: si va avanti, la morte di Tenco è un tragico incidente e nulla più. Vengo a sapere che Dalida ha scoperto il cadavere, e tra le lacrime si è messa a chiamare aiuto. Accorre Lucio Dalla, che aveva la stanza poco lontano, sconvolto. Sono gli unici due che mostrano di capire a fondo la tragedia. Ma, come si dice, "The show must go on". Bongiorno, la sera dopo, si limita a un breve annuncio. Il festival continua, verrà vinto da Claudo Villa e Iva Zanicchi con la canzone "Non pensare a me". Quasi un epitaffio per chi non c'è più.

Le indagini vengono fatte velocemente: la pistola trovata accanto al corpo (una Walter Pkk 7.65), risulta appartenere a Tenco. Nella camera vengono trovate alcune bottigliette di sonniferi e cose del genere. È un suicidio dovuto a un momento di depressione, avvenuto senza testimoni. Ma la porta della camera 219 dell'hotel Savoia, dove Tenco alloggiava, è risultata socchiusa, lo ha confermato Dalida. Già circolano voci di "giallo" seccamente smentito da Gino Paoli, che conosceva bene Luigi, e dal funzionario di polizia, Molinari, al quale l'indagine è stata affidata. Il 27 c'è il funerale: pochi assistono alle esequie, pochissimi soprattutto i cantanti. Lello Bersani, giornalista Rai e amico di Tenco, fa un servizio commosso sull'accaduto, la Rai non lo manda in onda perchè "l'autore è troppo emozionato". Viene trasmesso invece un commento "in punta di penna" di Sergio Zavoli. La morte di Luigi (aveva 29 anni), dopo qualche tempo, viene accantonata. L'Italia ha altro cui pensare, non certo a chi ha scritto canzoni stupende come "Mi sono innamorato di te", "Cara maestra", "Lontano lontano", "Se un giorno ti diranno", "Un giorno dopo l'altro" per la popolare serie del commissario Maigret. Luigi Tenco, esponente di punta della "Scuola genovese" che annovera Paoli, De Andrè, Endrigo, Lauzi, un movimento di autori-musicisti che ribalterà i canoni tradizionali della canzone italiana (cuore, amore, mamma), viene dimenticato. Ma rimane per lui un monumento musicale, la canzone "Il poeta" di Bruno Lauzi, storia di un uomo scontroso, schivo, che un giorno si uccide e "tutti dicono che era un poeta/che sapeva parlare d'amore/cosa importa se al mondo uno muore/lui piangeva e parlava di te". In questa storia, soltanto uno non ha mai creduto al suicidio di Luigi: il fratello maggiore Valentino che, col tempo, ha dovuto inchinarsi all'evidenza. Nessun mistero dietro la morte di Luigi Tenco, nessuna delusione amorosa, nessuna oppressione discografica. Soltanto una grande, disperata solitudine interiore.


 

 

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