S'inaugura oggi a Ricaldone
(Alessandria) dove il grande
cantautore nacque ed è sepolto. Oggetti e curiosità
Un museo
per Luigi Tenco
dal primo tema a "Ciao amore"
di MARIO SERENELLINI
Luigi Tenco
RICALDONE (ALESSANDRIA) - "La persona che amo di più è la mamma, si chiama Teresa. È alta di statura, ha i capelli color castagno e gli occhi dello stesso colore". Da quel temino del 1946 a "Ciao amore", passano 21 anni. Una vita di cantautore, gli alti e bassi del successo e del cuore, le ribalte ribollenti d'applausi e le camere d'albergo dove si ripiomba nel silenzio e, a volte, si muore. La vita di Luigi Tenco è da oggi un affettuoso flashback, un museo solitario sulle colline dell'Alessandrino solcate dalle vigne. Nato per iniziativa dell'Associazione Luigi Tenco e del Comune di Ricaldone, dove Tenco è cresciuto ed è sepolto, è il primo museo in Italia dedicato a un cantautore. Non solo dischi, anche se l'occhio corre subito al primo 45 giri (del 1959) e al primo dei rari lp (1962), ai molti 33 giri postumi e ai 45 giri a pioggia di "Ciao amore", editi nel '67 in tutto il mondo all'indomani del suicidio in hotel al Festival di Sanremo.
Copertine quasi identiche: primi piani o mezzi busti del "cantore della malinconia", come recitano i titoli dei rotocalchi, che non hanno mai disgiunto le seduzioni poetiche di Tenco dai richiami d'un look bello e ribelle né dai conseguenti assedi di "amori travolgenti quanto fulminei", evocati nel "TV Sorrisi e Canzoni" del dopo-suicidio, che in copertina fa sovrastare l'immagine di Tenco da Claudio Villa e Iva Zanicchi, vincitori con "Non pensare a me".
Ma tra gossip, curiosità, enigmi - come la misteriosa avventura sudamericana rispolverata da Carlo Lucarelli in "Tenco a tempo di tango", stasera a Ricaldone dopo il successo della prima a Borgio Verezzi - , affiorano nelle stanze del museo, che s'inaugura oggi, schegge più private e sconosciute, come il vezzo di Tenco di nascondersi sotto lo pseudonimo Gordon Cliff per interpretare canzoni della mamma, tipo "Parlami d'amore Mariù", in inglese ("Tell me that you love me"). Tra manoscritti rimasti senza musica e altri frammenti di vita incompiuta, si scoprono due commoventi testimonianze d'amicizia: Fabrizio De André e Giorgio Gaber. Nel film "La cuccagna" di Luciano Salce, dove Tenco è un arrabbiato negli anni del boom, riesce a imporre "Fabrizio" (non ancora De André) come autore d'una delle tre canzoni (le altre due sono di Morricone), "La ballata dell'eroe". Da Gaber, con cui s'è esibito nel '59-60 al Santa Tecla a Milano riceve, in una lettera del 26 settembre '60, una sconfortante contabilità ("il saldo delle tue percentuali è di 2.397 lire") ma anche un buffetto d'ironica profezia: "Pochino, eh? Consoliamoci pensando che siamo... due geni incompresi".
(20 luglio 2006)